domenica 22 gennaio 2012

Raggio laser per curare l'herpes

Tra le pagine di questo blog ho già parlato di herpes e di quali possano essere i metodi di cura, ma da qualche giorno in tv passa una pubblicità che ha attirato il mio interesse.
Intanto facciamo un breve riassunto su che cosa è l'herpes e quali siano le cause di comparsa.
L’herpes labiale è un’infezione delle labbra, bocca o gengive da virus herpes simplex. Esso porta allo sviluppo di piccole vescicole dolorose. 
L’herpes labiale è una malattia comune causata da un’infezione della zona orale con virus herpes simplex di tipo 1. L’infezione iniziale può non causare sintomi o ulcere della bocca. Il virus rimane dormiente nel tessuto nervoso del viso. In alcune persone, il virus si riattiva e produce ricorrenti herpes labiali di solito sempre nella stessa area, anche se non sono gravi.
L’herpes virus di tipo 2, che di solito provoca l’herpes genitale, può infettare i bambini durante la nascita da madri infette, può anche causare l’herpes labiale. Gli herpes virus sono contagiosi. La diffusione può avvenire attraverso il contatto intimo diretto, o attraverso il contatto con rasoi infetti, asciugamani, stoviglie e altri oggetti condivisi. Occasionalmente può diffondersi per contatto genitale in via orale.
Il primo episodio può essere lieve o grave. Di solito si verifica nei bambini tra 1 e 5 anni. I primi sintomi compaiono solitamente entro 1 o 2 settimane, e fino a 3 settimane, dopo il contatto con il virus. Il primo episodio può durare 2-3 settimane. Le lesioni possono essere sulle gengive, bocca, gola, o sul viso. Gli episodi successivi sono di solito più lievi.
La condizione può essere scatenata da mestruazioni, esposizione al sole, febbre, stress o altre cause sconosciute. I sintomi di prurito, bruciore, aumento della sensibilità o formicolio si possono verificare circa 2 giorni prima che le lesioni appaiano.
Diverse piccole vescicole possono fondersi per formare una bolla più grande.
La diagnosi viene effettuata sulla base della comparsa o l’analisi della lesione. 
CURE:  Fino ad oggi chi era affetto da herpes simplex poteva contare o sui rimedi della nonna: miele, vitamina C, o sulla famosa pomatina a base di Aciclovir.
Ma solitamente dalla comparsa dei primi sintomi, (vedi prurito) si doveva aspettare la comparsa delle prime vescicole per poter agire. Ma da oggi sul mercato farmaceutico è spuntato un attrezzo che promette di sconfiggere l'herpes in metà del tempo.
Ora, io non so quanto tempo duri l'herpes in genere, ma per mia esperienza personale, da persona affetta da questa "piaga" io posso dire che in una settimana va tutto via, cicatrici comprese... (e questo quando l'herpes decide di venire con altri 2, 3 amichetti! Perchè di solito il mio herpes non ha mai quell'aspetto che fanno vedere in tv che con un cerottino sparisce, per me ce ne vorrebbe una confezione intera per coprirli!)
Ora sul mercato è spuntato un dispositivo elettronico per il trattamento dell’herpes labiale. Questo dispositivo elettronico  per il trattamento dell’Herpes , utilizza un invisibile raggio infrarossi per intensificare la risposta immunitaria locale contro il virus dell’herpes.
Il trattamento luminoso riduce la durata dell’attacco e accelera il tempo di guarigione, da 8 a 4 giorni con un costo di circa 40 euro.

Si inizia ad utilizzare il Dispositivo Elettronico per l’herpes non appena iniziano i primi sintomi (fase di prurito ) e si deve ripetere il trattamento  12 ore piu’ tardi . Per attacchi di herpes piu’ persistenti utilizzare il Dispositivo 2 volte al giorno per i tre giorni successivi. Il trattamento puo’ anche essere ripetuto piu’ frequentemente senza alcun effetto avverso.
Ma, ahimè, Il dispositivo è ad esclusivo uso personale. Non deve essere condiviso nemmeno tra i membri della stessa famiglia.
Quindi se, mettiamo caso, all'interno della stessa famiglia 2 persone soffrono di herpes, non potranno utilizzare lo stesso dispositivo ma dovranno comprarne 2 per una spesa pari ad 80 euro circa. Per utilizzarlo all'incirca 3 volte l'anno. Ma con 80 euro quante pomatine si possono comprare? Conviene una spesa così eccessiva solo per 4 giorni (promettono) di herpes in meno?
Sinceramente io non lo comprerò. Anzi forse mi iscriverò ad un corso di Yoga cosi magari imparerò a controllare lo stress e a contrastare l'herpes da dentro...



                                                                                                             Fonti: Capraro Rosalba

venerdì 20 gennaio 2012

Pipì a letto: si risolve con l’asportazione delle tonsille o delle adenoidi!

Uno dei problemi principali che disturbano il sonno dei nostri bambini sono le apnee notturne! Il piccolo durante il sonno va in apnea, respira male e di conseguenza dorme anche male e molto spesso di notte di sveglia! Ma, nella maggior parte dei casi, i bambini che soffrono di questo disturbo sono bambini che hanno problemi con le tonsille o le adenoidi!
Dunque secondo i ricercatori del Children’s Hospital of Michigan di Detroit, sarebbe sufficiente rimuovere tonsille o adenoidi, per risolvere il problema anche se l’associazione tra apnea ostruttiva del sonno e enuresi notturna non è del tutto chiara e si pensa possano centrare i cambiamenti ormonali. Lo studio è stato condotto osservando 417 bambini e ragazzi tra i 5 e i 18 anni che soffrivano di apnee durante il sonno e allo stesso tempo di enuresi e sembra che la metà di questi bambini hanno smesso di bagnare il letto dopo essere stati sottoposti a tonsillectomia e adenoidectomia.
Naturalmente le cause dell’enuresi notturna possono essere diverse e non sempre può dipendere dai problemi di sonno. Dunque è sempre bene far visitare il piccolo da uno specialista prima di ricorrere all’esportazione di tonsille ed adenoidi con la speranza di risolvere il problema.


                                                                         Fonti: (http://nanna.blogmamma.it)

Chi dorme da solo dorme peggio

Lo indica uno studio americano. Il rimedio? Il caldo «abbraccio» di un bagno caldo

Le migliori dormite le facciamo quando non ci sentiamo soli, esclusi o isolati dagli altri e se abbiamo al nostro fianco un compagno o una compagna di vita. Quando invece ci sembra di essere esclusi dal contesto sociale la nostra solitudine esistenziale ci segue anche nel sonno che inizia a frammentarsi con frequenti risvegli notturni anche se apparentemente dormiamo lo stesso numero di ore e ci sembra di aver trascorso tutta la notte fra le braccia di Morfeo.
L’ha verificato uno studio dell’Università di Chicago pubblicato su SLEEP che ha esaminato una comunità chiusa come quella agricola degli anabattisti Hutteriti del Sud Dakota. 95 persone con età media di 39,8 anni (55% erano donne) sono state prima valutate con test psicologici sui loro livelli di solitudine percepita, depressione, ansia e stress, nonché sulla qualità di sonno soggettiva. Poi per una settimana il loro sonno è stato controllato tramite un actigrafo da polso, una sorta di mini-holter polisomnografico portatile.
Dopo aver depurato gli altri fattori confondenti (età, sesso, peso, eventuale apnea morfeica, elevati livelli di depressione, ansia e stress) l’unico parametro risultato significativamente importante è risultato essere la solitudine percepita, la quale peraltro non influenza la durata totale del sonno né la sua percezione soggettiva. Gli autori hanno fornito una spiegazione evoluzionistica al fenomeno: per sopravvivere l’uomo ha dovuto fare affidamento al cordone di sicurezza della sua comunità. Sentirsi soli fa percepire la mancanza di questo senso di protezione sociale e per contrastare il senso di vulnerabilità che ne deriva attiviamo i nostri sistemi d’allerta che non ci fanno più dormire sonni tranquilli. Accade un po’ la stessa cosa ad esempio nella coppia dove la moglie dorme meglio se il marito non è fuori casa per lavoro o ai bambini che si addormentano subito solo fra le braccia protettive della madre.
Un altro studio della Yale University pubblicato su Emotion dimostra che un buon metodo per compensare il senso di solitudine è fare un bagno caldo, perché il calore e il senso di sicurezza hanno per noi un inconscio legame ancestrale, probabilmente rievocato dal caldo abbraccio della mamma o del marito.
 
                                                                            Fonte:(www.corriere.it)

giovedì 19 gennaio 2012

Herbalife: gravi danni epatici!

Articolo tratto integralmente dal “Corriere Medico” del 29.1.2009.  
Riemerge l’allarme danni epatici da supplementi nutrizionali non controllati e assunti senza supervisione medica.
Lo rilancia il J. of Hepatology (50, 2009: 111-117), con un articolo a prima firma di Felix Stickel, Istituto di farmacologia clinica, Università di Berna, pubblicando la segnalazione di due casi di epatopatia grave (un’epatite colestatica e una cirrosi), successive a prolungato consumo di prodotti a marchio Herbalife. Un’associazione ritenuta probabile, in base a criteri internazionalmente validati e dopo che, com’è corretto, è stata esclusa ogni altra possibile causa: virale, alcolica, metabolica, autoimmune, neoplastica, vascolare epatica, iatrogena per assunzione di farmaci di sintesi.
Nei due casi emersi a Berna è stata messa in luce la contaminazione da parte del Bacillus Subtilis in vari preparati Herbalife, consumati da un uomo di 78 anni nei tre anni precedenti e da una donna di 50 anni per un anno. Nello specifico, l’indagine microbiologica ha rilevato la contaminazione di due dei 7 prodotti ingeriti dalla donna e dell’unico prodotto assunto dall’uomo, oltre alla contaminazione di un altro preparato, ancora sigillato
Primi allarmi nel 2002
La segnalazione bernese è solo la più recente di una serie, che ha coinvolto nel tempo (nel 2002, 2005, 2007) prodotti (Lipokinetic, Hydroxycut) contenenti efedrina e tè verde e, successivamente, proprio Herbalife. Va detto che proprio Herbalife, nonostante ripetute richieste, non ha mai reso pubbliche le composizioni dei suoi vari prodotti.
Poichè si tratta, come per le altre marche citate, di supplementi nutrizionali, non esiste obbligo di controllo di efficacia nè tantomeno di sicurezza, come è richiesto per i farmaci. Aggravante è l’invito all’assunzione prolungata, comune tra tutti i produttori, come garanzia di effetti benefici.
Già nel 2007, peraltro, il J. of Hepatology (47; 514-520 e 521-526) aveva pubblicato due lavori che coinvolgevano Herbalife. Il primo, a firma di epatologi, internisti e patologi dell’Università Hadassah-Hebrew di Gerusalemme, riportava i risultati di un’indagine del locale ministero della Salute su 12 soggetti con lesioni epatiche acute di varia natura, associabili al consumo di prodotti della linea. Secondo i criteri Oms, l’associazione con il consumo di prodotti Herbalife era certa in tre di questi casi, probabile per sei e possibile per i restanti tre. Di questi ultimi, una donna di 33 anni era deceduta per epatite fulminante, nonostante un trapianto di fegato in emergenza, probabilmente per l’aggravante di una precedente infezione da virus dell’epatite B. Certa invece la correlazione per una 55enne diabetica e iperlipidemica, per una 48enne ipertesa e per una 78enne psoriasica e diabetica: infatti, dopo sospensione di Herbalife e una prima normalizzazione delle ALT, le tre donne avevano ripreso ad assumere questi prodotti (senza farne menzione ai medici) con una rapida e massiccia ricaduta della malattia epatica.
Il secondo lavoro, a firma di gastroenterologi, internisti, patologi e farmacologi dell’Università di Berna, riguardava altri 10 casi di associazione tra epatopatia severa ed Herbalife, di cui due certi (una 30enne sana di base e una 63enne ipertesa), sette probabili (tra cui un 41enne senza comorbilità precedenti,costretto al trapianto di fegato) e uno possibile. Nel 2008, infine, ecco una lettera (J. of Hepatology, 49; 289-290), a firma questa volta dei responsabili del centro di farmacovigilanza delle Asturie, che riportava quattro casi di epatotossicità risalenti al 2005 e al 2006, dopo assunzioni di prodotti Herbalife anche per un solo mese.
Consumo fideistico
Gli editoriali di commento sottolineano alcuni obblighi ineludibili: il primo,conoscere nel dettaglio la composizione di queste preparazioni; il secondo, l’altrettanto necessaria analisi microbiologica e chimica, per rilevare contaminanti eventuali, correlabili a lesioni epatiche.
Ci si chiede anche come mai le segnalazioni più numerose emergano soltanto in Svizzera e in Israele. Le ipotesi sono due: una distribuzione locale di lotti contaminati, oppure, considerando anche la corrispondenza spagnola, una sottosegnalazione (più probabile) nelle altre 58 nazioni del mondo in cui viene venduta Herbalife.
A proposito dei casi di epatotossicità da prodotti erboristici, segnalati in questi anni recenti dal J. of Hepatology, Leonard B. Seeff, del National Institutes of Health di Bethesda, sottolinea correttamente: “A fronte di una crescita esponenziale dell’uso di preparazioni riconducibili alla medicina alternativa e complementare,bisogna sfatare nel pubblico la convinzione che l’uso di un prodotto a base di erbe sia più sicuro rispetto al farmaco tradizionale. Entrambi, infatti, non sono esenti da effetti collaterali, inclusa l’epatotossicità. Aggrava la situazione il fatto che la diffusione dei prodotti erboristici in genere avviene per passaparola, attraverso una massiccia pubblicità e via Internet, in assenza di obbligo, stabilito per legge, di un controllo sanitario.
Inoltre, spesso queste preparazioni sono a base di miscele non specificate, neppure dopo reiterate richieste ai produttori; aumenta così il rischio di contaminazione, chimica (piombo, mercurio, arsenico), o microbiologica (batteri, funghi).Infine, non si può scartare l’ipotesi che, in alcuni dei casi segnalati, sia entrato in gioco un meccanismo autoimmune. Occorre trovare un biomarker affidabile, che permetta di correlare l’evento epatotossicità ad uno specifico prodotto. In attesa è indispensabile fare pressione sulle autorità competenti e sul pubblico. Le prime perchè facciano in modo che, di questi “prodotti naturali”, si conosca tutto: dalla composizione, all’effettiva efficacia, alla sicurezza; il secondo perchè capisca che “prodotto erboristico” non è sinonimo di “prodotto più sicuro”; rispetto ai farmaci convenzionali.


martedì 10 gennaio 2012

Musica dannosa!

Nuovi studi confermano che la musica ascoltata con gli auricolari è dannosa quanto il lavoro in fabbrica

Da sempre i medici si preoccupano in modo attento delle condizioni di salute sul posto di lavoro, analizzando, giustamente, diversi fattori, dalla qualità dell'aria a quella della luce fino a giungere alle fonti di rumore. Un dato molto meno studiato, perché legato invece al divertimento, è quello riguardante i danni subiti dall'udito durante l'ascolto di musica tramite auricolari in-ear. Ultimamente studi congiunti hanno portato alla verifica che una musica troppo elevata causa danni permanenti. Se l'allarme era stato lanciato già nel 2006, con la messa in atto di disposizioni più severe riguardanti i produttori di lettori Mp3, è con lo studio delle Università del Michigan e della California - che hanno continuato quello intrapreso dal Professor Peter Rabinowitz, della Yale University School of Medicine - che si trovano le allarmanti conferme.

Un dato che ha preoccupato i medici è che sono soprattutto i giovanissimi a subire i danni di un ascolto ad alto volume, tanto che in loro sono stati riscontrati problemi di solito riguardanti persone di oltre 50 anni. Essenzialmente un ascolto prolungato di musica ad alto volume è equiparabile a quello di macchinari utilizzati per la demolizione o costruzione di abitazioni, durante i quali, infatti, è obbligatorio l'utilizzo di cuffie protettive. Non sono da sottovalutare i rischi, che vanno dallo stress alla difficoltà a prendere sonno, arrivando anche a scatenare problemi cardiaci, tanto che la frase "to be played at maximum volume" che campeggiava sull'album di David Bowie,The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars, oggi sarebbe da considerare se non illegale di certo eticamente scorretta. 



                                                               Fonte: (www.fastweb.it)

Addio paracetamolo!

Scoperto il meccanismo d'azione dell'antidolorifico, presto si avranno molecole che non risultino tossiche per l'organismo

È dal 1949 che il paracetamolo è utilizzato come il principale farmaco contro il dolore, diventando nel corso degli anni un alleato fondamentale per molte persone. Eppure il rischio di tossicità, legato soprattutto al sovradosaggio, ha portato la ricerca scientifica ad analizzarne il funzionamento, in modo da trovare una valida alternativa. Un team di studiosi, composto da ricercatori francesi, svedesi ed inglesi ha pubblicato un interessante studio sulla rivista specializzata Nature Communications, rivelando l'importanza della proteina Trpa1 - già noto come recettore del dolore per eccellenza - (Transient receptor potential cation channel, sottofamiglia A, membro 1), presente sulla superficie delle cellule nervose. In essa si è individuata la componente necessaria perché il paracetamolo risulti efficace.

Una volta capito il meccanismo del farmaco l'obiettivo è quello di trovare un sostituto che non abbia lo stesso tipo di controindicazioni, ma che risulti efficace esattamente nello stesso modo, agendo sulla Trpa1. Lo studio ha portato anche alla scoperta che l'assunzione del paracetamolo stimola la creazione del NAPQI (N-acetyl-p-benzoquinone imine), un elemento tossico di solito prodotto in piccole quantità e subito ripulito dal fegato, ma che, in caso di sovradosaggio, può provocare gravi danni al fegato con effetti che risultano evidenti tre o quattro giorni dopo l'assunzione del farmaco. La strada è ancora lunga ma la volontà è quella di percorrerla in modo da trovare medicinali sempre meno rischiosi per la nostra salute.



                                                                       Fonti: (http://www.fastweb.it)

lunedì 9 gennaio 2012

Sbadiglio: tutta noia?

Uno sbadiglio è un riflesso di una profonda inalazione ed espirazione del respiro. 
Lo sbadiglio spontaneo è un comportamento molto antico, ampiamente presente nei vertebrati, dai pesci all'uomo. A seconda del gruppo animale nel quale lo si ritrova, incluso l'uomo, lo sbadiglio può essere associato a stanchezza, stress, noia, fame.
Le esatte cause che provocano uno sbadiglio non sono state completamente chiarite. Alcuni studiosi sostengono che sbadigliare non può essere causato da una mancanza di ossigeno, come ipotizzato da altri, semplicemente perché l'atto dello sbadiglio in sé riduce sensibilmente la quantità di ossigeno immessa nei polmoni tramite il normale processo respiratorio .
Lo sbadiglio negli umani è contagioso; questo significa che, in generale, è più probabile che una persona sbadigli dopo aver percepito (con la vista, l'udito, o entrambi i sensi) lo sbadiglio emesso da un'altra persona. La frequenza di contagio varia durante il giorno, con un picco a mattina presto e in tarda serata. Un recente studio condotto da Ivan Norscia ed Elisabetta Palagi (Università di Pisa) ha fornito la prima evidenza comportamentale che il contagio dello sbadiglio è associato al legame empatico tra le persone. Lo studio ha dimostrato che il contagio segue lo stesso gradiente dell'empatia: è massimo nei parenti stretti (genitori/figli/nipoti, fratelli, coppie stabili), decresce negli amici, poi nei conoscenti (persone legate solo da un terzo elemento esterno, cioè il lavoro o un amico in comune) e raggiunge il minimo negli sconosciuti
Lo studio rivela che anche la risposta allo sbadiglio (misurata in termini di tempo di latenza) è più rapida tra parenti stretti, amanti e amici. Vari studi di tipo clinico, psicologico e neurobiologico suggeriscono e supportano il legame tra contagio dello sbadiglio e empatia. Ad esempo, il contagio inizia a manifestarsi a 4-5 anni di età, quando i bambini sviluppano la capacità di identificare, in modo corretto, le emozioni altrui . Inoltre, il contagio è ridotto o assente in soggetti che presentano disturbi legati all’empatia, come gli autistici ed è positivamente legato ai punteggi soggettivi di empatia basati su test di tipo psicologico.
Infine, le aree del cervello legate alla sfera emotiva si sovrappongono, in parte, con quelle coinvolte nella risposta allo sbadiglio, con un possibile coinvolgimento dei neuroni specchio.
Al di là dell'uomo, il contagio dello sbadiglio, con possibili implicazioni empatiche, è stato finora dimostrato negli scimpanzè  e nei babbuini gelada . La presenza di contagio tra uomo e cane domestico, considerato capace di un legame empatico con gli umani, è stata ipotizzata, ma i risulati sono controversi 

                                                                                                 Fonti: (Varie)

venerdì 6 gennaio 2012

Come si diventa personal trainer?

Le strade per diventare personal trainer sono molteplici ma, non per questo, sono tutte valide nella medesima misura.
La figura professionale del personal trainer è di tipo multidisciplinare, pertanto è indispensabile avere ottime conoscenze di anatomia, fisiologia e meccanica muscolare, buone conoscenze sulla biologia, biochimica, alimentazione, psicologia ecc.
Queste conoscenze non rappresentano il “punto di arrivo” ma la base di partenza da arricchire ogni giorno con costante aggiornamento ed una buona dose di “pratica”.
La pratica è indispensabile al pari della teoria. Non si potrà mai essere dei bravi professionisti se, per primi, non si conosce e pratica la disciplina che si pretende di insegnare.
Allo stesso modo, limitarsi alla pratica, ignorando la teoria, significa essere solo dei “praticoni”, degli improvvisati, non dei professionisti. Questa modalità di accesso al mondo del lavoro non esiste più nemmeno per i lavori che, sino a qualche tempo fa, erano il solo frutto dell’apprendistato.
Oggi giorno lo studio è richiesto per qualsivoglia lavoro, figuriamoci per una professione che prevede di far raggiungere obiettivi di forma e salute ad una persona.

La professionalità di un personal trainer è rilevabile anche dal percorso formativo che lo ha portato a diventare un professionista del benessere.
Il percorso maggiormente idoneo sarebbe quello di tipo universitario. Sino a qualche anno fa esisteva l’ISEF (Istituto Superiore di Educazione Fisica). A seguito delle diverse riforme dell’università, è oggi possibile accedere ad una laurea in Scienze Motorie della durata di 3 anni, cui sommare altri 2 anni di Laurea Specialistica.
A queste competenze occorrerebbe aggiungere la frequenza di corsi e master specifici per intraprendere la carriera di personal trainer.

I corsi sono generalmente organizzati da numerose Federazioni e aziende private che operano nel campo della formazione.
Sebbene sia quasi sempre possibile accedere a tali corsi anche senza il preventivo conseguimento della laurea, è da sottolineare che, la preparazione raggiunta solo seguendo dei corsi, non è idonea a coprire la vastità delle implicazioni lavorative tipiche del personal trainer.
I corsi di aggiornamento sono comunque un imperativo per ogni bravo professionista, che continuerà costantemente a tenersi aggiornato, anche con l’ausilio di testi e riviste di settore.
                                            
                                                                                                Fonti: (varie)

Crampi: sarà il potassio?

L’idea che tutte le volte che si ha un crampo ci si trovi di fronte ad una carenza di potassio è riassumibile in una sola frase: se è vero che tutte le carenze di potassio possono manifestarsi con dei crampi muscolari, non è altrettanto vero che tutti i crampi muscolari siano originati da una carenza di potassio.
Per chiarire meglio questo aspetto occorre analizzare in maniera più approfondita cos’è e come origina un crampo, perlomeno con riferimento all’attività sportiva. Il crampo muscolare è una manifestazione dolorosa frutto di una contrazione involontaria del muscolo, spesso violenta ed improvvisa. Le cause di un crampo muscolare possono essere diverse. Se consideriamo soggetti sedentari possono originare da problemi circolatori, anche determinati da atteggiamenti o posture che ostacolano il flusso sanguigno. Alcune terapie farmacologiche, in particolare l’uso di diuretici, possono ulteriormente favorirne la comparsa, al pari di una sudorazione copiosa o squilibri biochimici.
In soggetti sportivi, anche agonisti, l’insorgere di crampi muscolari è quasi sempre attribuibile ad un marcato affaticamento psicofisico, a copiose deplezioni di glicogeno muscolare e ATP e, in misura più modesta, a carenze o squilibri elettrolitici, determinati quasi sempre da sudorazione eccessiva o errato reintegro idrosalino. sodio e potassio sono di fatto gli elettroliti una cui carenza maggiormente espone a crampi muscolari.
È tuttavia da sottolineare che è assai improbabile che si verifichi una carenza di sodio in un soggetto che si alimenta normalmente. Poiché il sodio è riccamente presente in tutti i cibi frutto della lavorazione industriale, e viene spesso impiegato in modo eccessivo anche nella comune alimentazione.
Non potendo riscontrare frequenti situazioni deficitarie, prima di pensare ad eventuali integrazioni, anche di potassio, occorre tener presente che la migliore azione preventiva è una corretta calibrazione del carico di lavoro, salvo non vi sia la certezza che il problema è imputabile ad errori di reidratazione. 


                                                                                     Fonti: (varie)

I vegetariani vivono più a lungo

Tutti i giornali in questa stagione ci propongono nuove diete per non ingrassare durante l'inverno, quando si tende a stare più in casa e a mangiare di più.
Eppure, in un mondo che ha fame, il consumo di carne costituisce un enorme spreco economico. Il sociologo Jeremy Rifkin ne ha dato una dimostrazione in cifre: se nel mondo ci sono 800 milioni di persone che soffrono la fame è perché gran parte del terreno coltivabile viene dedicato a farvi nascere foraggio e cibo per gli animali da carne. Ogni anno sono destinate a bovini, ovini, suini e polli circa 150 milioni di tonnellate di cereali. Con uno spreco enorme, perché, se facciamo un bilancio tra quanto nutrimento s'impiega per allevare un animale e quanta resa se ne ha ai fini dell'alimentazione umana, vediamo che il conto non torna.
È molto più conveniente impiegare nell'alimentazione umana un chilo di cereali (può nutrire più persone in un giorno, e non ha sprechi) che impiegarne la stessa quantità per nutrire un animale da macello.
Anche la scienza da ragione all'etica. Non è vero che la carne è necessaria al nostro sostentamento. I vegetali ci mettono a disposizione tutto quanto occorre alla vita, proteine comprese. Del resto, in termini evoluzionistici, l'uomo discende dalla scimmia e il nostro metabolismo è come il loro, che mangiano frutta, verdura e legumi. Infine, una dieta priva di carne non ci indebolirebbe: pensiamo alla potenza fìsica del gorilla.
Non solo frutta e verdura ci farebbero bene, ma servirebbero proprio a tenere lontane le malattie. Solo tre anni fa, l'Organizzazione mondiale della Sanità attribuiva a un insufficiente consumo di frutta e legumi quasi tre milioni di decessi. Il vegetariano di solito vive più a lungo e si ammala meno.

                                                                         Fonti: (matteocala.myblog.it)

Il tumore alla gola

Il sesso orale aumenta il rischio di tumore alla gola più di quanto faccia il fumo. Un rapporto orale non protetto espone maggiormente a questo pericolo nelle persone al di sotto dei 50 anni. Ne sono convinti gli esperti della Ohio State University di Columbus (Usa), che ne hanno parlato in occasione della conferenza annuale dell'American Association for the Advancement of Science a Washington DC. Tutta colpa di un virus, il Papillomavirus umano (Hpv), trasmissibile anche attraverso questo tipo di rapporti sessuali. L'Hpv è attualmente più conosciuto come principale causa del tumore al collo dell'utero e a partire dal 2007 è disponibile un vaccino che è in grado di prevenirlo, utilizzato finora solo sulle giovani donne. I medici americani sono dunque convinti che il siero andrebbe assicurato anche ai maschi. I carcinomi della bocca e del tratto oro-faringeo, infatti, vengono solitamente diagnosticati in uomini d'età avanzata con il vizio del fumo e dell'alcol, ma negli ultimi anni si è assistito a un aumento di casi fra ragazzi più giovani.
Maura Gillison dell'ateneo Usa ha imputato questo 'boom' di malattie all'Hpv trasmesso per via sessuale: «Le evidenze scientifiche non confermano ancora se il vaccino possa proteggere dal contagio da Hpv per via orale, ma gli esperti del settori sono ottimisti. Finora, infatti, i prodotti disponibili si sono dimostrati efficaci al 90% in tutte le parti anatomiche in cui sono stati studiati». Le chance di infezione, secondo l'esperta, crescono proporzionalmente al numero di partner sessuali che una persona ha durante la sua vita, e in particolare quelli con cui fa sesso orale. A confermarlo, lo scorso anno, fu uno studio della Johns Hopkins University, che aveva rivelato come l'Hpv esponga a un rischio maggiore di cancro rispetto al fumo e all'alcol. Coinvolse 300 persone mostrando che coloro che hanno più di sei partner sessuali corrono un pericolo nove volte superiore di vedere insorgere una neoplasia, mentre coloro che hanno già avuto una precedente infezione orale da Hpv hanno 32 volte più probabilità di sviluppare il cancro. Un fattore che i ragazzi tengono poco in considerazione, avvertono gli studiosi: «il sesso orale - ha concluso Gillison - viene considerato dai giovani socialmente accettato. È spesso casuale e giudicato meno pericoloso dei rapporti intimi 'verì». Un motivo in più per riflettere sulla possibilità di vaccinare tutti gli adolescenti contro l'Hpv: «se un mio paziente mi chiede se è necessario vaccinare il proprio figlio, io rispondo 'sì, certamentè», ha concluso Gillison.


                                                                       Fonti: (www.leggo.it)

Ictus: un test per prevederlo

Classici fattori di rischio (fumo, colesterolo, ipertensione...) e stili di vita (dieta, attività fisica) giocano certamente un ruolo importante nell'ictus, ma da oggi c'è ufficialmente anche quello genetico, indipendente dagli altri e legato a 5 particolari difetti la cui presenza contemporanea nel Dna è in grado di predirlo nell' 82,4% dei casi. L'annuncio verrà dato al 24/o Congresso Nazionale della Società Italiana per lo Studio dell' Arteriosclerosi (Sisa) in programma a Roma dal 30 novembre al 3 dicembre. Anticipando a Milano alcuni aspetti della scoperta, fatta dai ricercatori degli ospedali di Chieti e di Ancona e pubblicata sulla rivista Stroke, i dirigenti della Sisa hanno spiegato che d'ora in poi sarà dunque possibile sapere, con un'analisi molecolare, se si è geneticamente predisposti all'ictus e quindi sottoporsi a trattamenti mirati per ridurne il rischio. La scoperta - spiega il presidente della Sisa Andrea Mezzetti dell'Università di Chieti-Pescara, che è anche coordinatore dello studio - mette sotto accusa 5 molecole (MicroRNA) che insieme determinano l'instabilità della placca aterosclerotica della carotide, predisponendola alla rottura che porta all'ictus. «L'analisi, su 15 pazienti dell'Ospedale di Chieti e 38 dell'Ospedale di Ancona - dice Francesco Cipollone, responsabile del Centro per l'Aterosclerosi della stessa Università - ha messo in luce che questa predisposizione all'ictus può essere individuata tracciando una mappa genetica del paziente. E la presenza delle 5 molecole nelle placche aterosclerotiche dei pazienti esaminati, che si erano rotte provocando l'ictus - spiega il professore - non era associata a differenze tra i pazienti nella presenza di fattori come diabete, ipertensione, dislipidemia o fumo di sigaretta. Questo significa che la predisposizione genetica può essere determinante anche in assenza dei classici fattori di rischio per infarto e ictus». «I risultati dello studio - dice Mezzetti - indicano che i MicroRNA hanno un ruolo chiave nell'evoluzione della placca: la presenza di 4 di queste cinque molecole predice l'ictus nel 73,5% dei casi, quella di tutte e cinque nell'82,4%». Ma se da un lato si evidenzia il ruolo centrale del difetto genetico, dall'altro non si può disconoscere che le 5 molecole agiscono laddove comunque esiste una placca, provocata da dislipidemie. Per questo è nato, promosso dalla Fondazione Sisa, il progetto Lipigen (Network italiano delle dislipidemie genetiche), con un gruppo di lavoro che coinvolge 38 ospedali del Nord, del Centro e del Sud, e 6 laboratori, dedicato allo studio e alla mappatura genetica delle dislipidemie in Italia. «Obiettivi sono la diagnosi molecolare dei difetti genetici alla base delle forme clinicamente diagnosticate - dice Mezzetti - la messa a punto di una appropriata terapia e la creazione di un Registro Nazionale delle Dislipidemie genetiche». In Italia ad oggi il numero di soggetti affetti da dislipidemie genetiche è compreso fra i 900.000 e il milione e mezzo.


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Diabete e obesità aumentano il rischio di tumore

Avere il diabete o essere obese dopo i 60 anni aumenta il rischio di sviluppare il tumore al seno. Lo afferma uno studio svedese, presentato in occasione del San Antonio Breast Cancer, il più importante congresso mondiale sulla malattia. I ricercatori scandinavi hanno seguito oltre 20mila persone. «Abbiamo visto che il diabete nelle donne adulte o l’obesità nelle over 60 rappresentano dei rischi importanti per l’insorgenza del tumore e non devo esser sottovalutati. Nel primo caso il rischio aumenta del 37%, nel secondo ben del 55%», afferma Hakan Olsson dell’Università di Lund. Inoltre l’obesità, secondo i ricercatori del Breast center di Baylor a Huston (Texas), è associata anche a esiti peggiori di sviluppo della malattia già nei primi stadi della comparsa.
L’imperativo dei medici quindi è di mantenere un peso accettabile, cercando di contenere il girovita anche in vista delle imminenti festività natalizie. Per quanto riguarda le novità terapeutiche, molto interesse hanno suscitato i risultati dello studio di fase III Cleopatra. La ricerca ha posto a confronto la combinazione di due farmaci innovativi e i dati evidenziano che l’associazione di trastuzumab (attualmente gold standard per il trattamento del tumore al seno) con il pertuzumab e la chemioterapia ha ottenuto una riduzione pari al 38% del rischio di peggioramento della malattia o di mortalità. Gli eventi avversi sono stati in linea con quelli verificatisi in studi precedenti con i medesimi farmaci.
Si ritiene che i meccanismi di azione di pertuzumab e trastuzumab (due anticorpi monoclonali) siano complementari tra loro, poiché entrambi si legano al recettore HER2, ma in regioni differenti del recettore stesso, potendo così fornire un blocco più completo delle vie di trasduzione del segnale. Nel carcinoma mammario HER2 positivo, sulla superficie delle cellule tumorali sono presenti maggiori quantità del recettore 2 del fattore di crescita epidermico umano (HER2). Questo fenomeno è chiamato positività all’HER2 e riguarda circa il 15-25% delle donne malate. (leggocaperna@gmail.com)


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